Martina Agarici
Io non sono la mia patologia
Quando stiamo male, spesso tutto ruota attorno a quel problema. Quando si è afflitti da una patologia, è facile, quasi normale, identificarsi in essa e focalizzare le nostre azioni e attenzioni su di essa.
A volte, il dolore o le limitazioni provocate dalla patologia, sono così forti da farci modificare la nostra vita.
Cerchiamo di muoverci in modo tale da avere meno male possibile, smettiamo di svolgere delle attività quotidiane e ci ritroviamo magari dipendenti da aiuti esterni, in situazioni che prima davamo per scontate.
E quando perdiamo il controllo della nostra vita, frustrazione ed avvilimento prendono il sopravvento.
Il dolore è un'esperienza sensoriale, un'emozione reale e travolgente, perciò accende tanti campanelli d'allarme. Il nostro istinto di sopravvivenza si allerta e cerca in tutti i modi di adeguare il sistema per fare in modo di guarire. E' quindi normale che il dolore, in una patologia, sia il parametro che cerchiamo di "eliminare" per primo: è fastidioso, ci toglie la quotidianità e le nostre libertà. Infatti, nella nostra società non tolleriamo di convivere con il dolore. Siamo bombardati da pubblicità di farmaci, il cui scopo è quello di eliminare qualsiasi dolore nel più breve tempo possibile. C'è una pillola per tutto!
Sentire un sollievo immediato è meraviglioso ovviamente! Ma la nostra capacità di sopportare il dolore si sta molto abbassando. E questo in parte ci rende più vulnerabili di fronte a problematiche in cui invece potremmo reagire con più positività e resilienza.
Alcune condizioni migliorano non solo quando il dolore sparisce, ma anche quando si riescono a fare movimenti fino a quel momento preclusi, quando si aumenta la forza e la resistenza, quando si riesce a camminare di più, a togliere una stampella.
A volte è necessario e fondamentale spostare il focus, e come fisioterapisti guidare il paziente a notare i miglioramenti non solo del dolore. Questo non significa non considerare il dolore del paziente, ma è al contrario una strategia possibile per abbassare la percezione del dolore e migliorare la funzionalità delle strutture corporee. Si cerca di instaurare un circolo virtuoso tra movimento e non dolore, con l’obiettivo di migliorare la capacità di tollerare carichi sempre maggiori. Lo si ottiene ad esempio, attraverso movimenti od esercizi per niente o poco dolorosi, per creare un adattamento delle strutture e col tempo un miglioramento via via maggiore della funzione.
Soprattutto nei dolori cronici, i pazienti tendono a dire che fa sempre male.
Siamo noi a doverli guidare nell'analizzare nel dettaglio le varie situazioni, perchè come detto, il dolore è totalizzante, annebbia e tende a prendere il sopravvento come importanza rispetto ad altro.
Vorrei fare un'altra considerazione sull'identificarsi con il nome preciso di una patologia: “ho un'ernia alla schiena”, “ho una calcificazione ai tendini della spalla”, “ho l'artrosi al ginocchio”.. certo, queste sono spesso condizioni problematiche che necessitano di una presa in carico per un percorso di cura. Tuttavia esse possono anche autolimitare la persona, creando un’etichetta, una zona "malandata", una parte di sé che andrà sempre tutelata.
La letteratura scientifica e il progredire delle conoscenze nel campo della riabilitazione, hanno ampiamente dimostrato che alcune condizioni sono fisiologiche, riguardano l'invecchiamento dei tessuti, ma non corrispondono sempre in maniera direttamente proporzionale ad un problema invalidante e ad una sentenza. La reazione più naturale potrebbe essere quella di ridurre il movimento, perchè i movimenti scatenano dolore e sembra che "usurino" le strutture. Ma così si finisce per privare di ogni stimolo la zona interessata e sappiamo che a lungo andare è controproducente e spesso è un errato comportamento. Certi movimenti, lenti ritmati e controllati, all’inizio a basso carico, possono innescare una catena positiva di stimoli che abbassano il dolore. Con meno dolore ci si può muovere di più e un passettino alla volta si recupera la funzione.
Di fronte a referti di ecografie, risonanze o raggi, è normale a primo impatto spaventarsi se leggiamo di strutture usurate o storte o erose o infiammate.. ma non limitiamoci subito ad associare il referto al nostro problema! A volte non tutto quello che non è più fisiologico o perfetto è problematico o doloroso. Ci sono persone con ernie alla schiena senza alcun dolore o limitazione nei movimenti, altre con risonanze perfette ma dolori atroci nei movimenti, provocati magari dalla debolezza o dall'instabilità.
La maggior parte dei quadri clinici che ci troviamo di fronte, è quasi sempre migliorabile in termini di dolore, mobilità e forza.
E’ fondamentale perciò, prendere atto che anche se i tessuti non ringiovaniscono o le calcificazioni o le ernie non spariscono, la funzionalità o il benessere possono al contrario migliorare molto, anche fino a far scomparire il problema.