Odon SM

Umberto Allasia

Il dolore neuropatico 

 

Cominciamo con un piccolo esercizio di concentrazione e proviamo a pensare ad un paio di circostanze poco gradevoli che probabilmente ci sono capitate negli anni trascorsi: a me viene subito in mente quel dolore lancinante che si prova picchiando la parte interna del gomito contro una sedia (Vi torna !?!).. a quando la mattina ci svegliamo con il braccio perso, inerme, che comincio a muovere lentamente un po' alla volta e con gran fatica partendo da piccoli movimenti delle dita insieme a una sensazione di calore calore e fastidio; lavorando da tempo a contatto con gli odontoiatri mi torna spesso alla mente il “mal di denti”, quel dolore perforante, incessante, che mi ha fatto piangere più di una volta!

 

Ma perché è un dolore cosi particolare al punto di ricordarlo anche a distanza di tempo?

Perché in occasioni di questo tipo può essere coinvolta la sensibilità e la perdita temporanea di forza?

 

Che sia accaduto in maniera fortuita, traumatica o semplicemente sia successo e basta, il protagonista è stato un nervo.

Il reale protagonista di questi episodi è specificamente il nervo periferico: è l’ultima parte di un intricato e meraviglioso sistema che trasporta informazioni sottoforma di segnali elettrici, dal centro alla periferia e viceversa, permettendoci di interagire con l’ambiente che ci circonda, di apprezzarne le infinite sfumature, la forma, il colore, il calore o il freddo, possiamo coglierne le insidie e reagire ad esso con un movimento di naturia volontaria o riflessa ( sto pensando a quando togliamo la mano dal fuoco per non scottarci).

Il segnale elettrico percorre un tratto decisamente lungo, dal cervello, passando per le aree subcorticali quali il diencefalo (talamo e ipotalamo), il cervelletto e il tronco encefalico per   convogliare nei 43/45 cm del midollo spinale che percorre la colonna vertebrale per “emergere” in una sequenza di coppie di “radici spinali” che emergono da ogni segmento e che progressivamente formeranno una estesa rete periferica, fatta di plessi, i tronchi nervosi e appunto, nervi. 

E’ un viaggio incessante, di andata e ritorno.

 

Quindi anche il nervo può essere fonte di dolore?

Assolutamente! Si, anche il nervo fa male!

 

Il sistema nervoso immaginatelo come una struttura sensibile, reattiva, dinamica, sollecitata in continuazione durante i movimenti del corpo. Senza entrare in aspetti estremamente tecnici ma per farvi comprendere meglio la loro composizione, pensate che alla pari di altri organi i nervi sono accompagnati da vasi sanguigni e linfatici e sono appunto a loro volta innervati dai “nerva nervorum” ! 

Alla pari del muscolo il nervo è anatomicamente descrivibile come una matrioska della tradizione russa, ovvero una successione di contenitori: il nervo contiene un insieme di fascicoli, a loro volta composti da fibre nervose, in cui giace il neurone, l’unità funzionale fatta di un corpo cellulare (il centro di controllo) e di un assone (che trasmette gli impulsi ad un altro neurone o tessuto), rivestiti da una guaina mielinica coinvolta nella trasmissione del segnale. In questa scala gerarchica 3 membrane fungono da “involucro”: dall’esterno all’interno abbiamo l’ epinervio (circonda il nervo spinale e svolge un’azione prevalentemente protettiva), il perinervio (attorno al fascicolo) e l’endonervio (che riveste l’assone). 

Un trauma (una lesione da strappo, una puntura d’insetto), una sollecitazione meccanica mantenuta quali la compressione o l’allungamento mantenuto a lungo (da pochi minuti a ore, giorni) , senza trascurare una possibile degenerazione strutturale spontanea di uno di questi strati giustifica il dolore e/o un possibile deficit di tipo sensomotorio (in quest’ultimo caso il monitoraggio clinico ed esami diagnostici quali l’elettromiografia ci permette di ipotizzare i possibili tempi di recupero o meno). Si stima una possibile ricrescita, in condizioni favorevoli, di circa 1 mm al giorno!

La stessa neurofisiologia ci insegna come “lavora” il nervo: quali meccanismi è in grado di attuare per la conduzione di un segnale elettrico (il potenziale elettrico), come possa nutrirsi e rispondere ad insulti chimici e meccanici (attraverso meccanismi di diffusione cellulare) come possa essere fonte di dolore! (vasa e nerva nervorum).

 

Come si riconosce il dolore di un nervo?

 

Il dolore “neurogenico” ha delle caratteristiche proprie che lo contraddistinguono: non ha una localizzazione puntiforme, ma estesa, interessando un’ area o scendendo lungo un arto o la colonna vertebrale  “come un filo”, che può “bruciare”, può “tirare”, spesso “formicolare” , più intenso a distanza che prossimalmente.

Non per forza deve presentare i segni di una neuropatia, con sensibilità alterata (“se mi tocco questa zona del polpaccio la sento un po' meno”), o segni clinici che possono alludere a deficit di forza (“dopo un po' che cammino ho la sensazione che il mio ginocchio non mi sostenga”, “ spesso mi capita di avere piccoli inciampi”). 

 

Il dolore è legato quindi ad un’ infiammazione del tessuto?

 

Non sempre. Una buona anamnesi e le giuste domande del terapeuta, possono aiutarci a comprendere meglio le caratteristiche del dolore neurogenico: un dolore acuto, persistente, maggiore la notte e al risveglio, può farci ipotizzare la presenza di una componente infiammatoria. Questo è un dolore che trova parziale sollievo con alcuni adattamenti (“quando sollevo il braccio sopra la testa mi sembra di stare meglio” è una delle frasi che sentiamo più spesso in ambulatorio proprio perché è un movimento che riduce notevolmente lo stress meccanico sul plesso brachiale). Al contrario un dolore sciatalgico “non mi permette di tenere le ginocchia distese”, perché a gamba estesa, associata alla flessione d’anca stiamo facendo un vero e proprio stretching del nervo! Esiste anche un dolore che insorge in assenza di infiammazione, quello di tipo ischemico, che significa “senza ossigeno”; è quello che insorge nella situazione in cui la posizione che stiamo assumendo non garantisce un’azione efficace dei “vasa nervorum”, semplicemente non arriva temporanemente sangue ed ossigeno e appositi recettori si attivano con il sopraggiungere di dolore. In questi casi cambiare la posizione spesso contribuisce alla riduzione del dolore.

 

Quale cura ? 

 

Il fisioterapista è in grado di poter indagare attraverso l’intervista e l’esame fisico una possibile neuropatia: esistono una batteria di test neurodinamici passivi che ci permettono di “misurare” eventuali disfunzioni del nervo, sfruttando proprio le sue capacità intrinseche di dare risposte a uno stimolo meccanico esterno. Qualora la condizione clinica lo consenta, pensiamo al test neurodinamico come una serie di allungamenti che coinvolgono la colonna e gli arti e ci consentono di definire alcuni aspetti importanti quali la sede del dolore (se intrinseca al nervo, o “extraneurale”), quali interfacce (punti anatomici di passaggio del nervo quali articolazioni, muscoli, fasce) debbano essere indagate perché potenziali fonti irritative e/o ostruttive del nervo. 

Le stesse tecniche passive di indagine possono rappresentare inoltre una modalità di trattamento, andando a “mobilizzare” il nervo (esiste tanta letteratura scientifica al riguardo a partire dagli studi di David Butler e Michael Shacklock).

 

Quali cautele?

 

E’ importante fare distinzione tra aspetti neurogenici e neuropatici del nervo, questi ultimi includono deficit sensomotori che possano alludere a una lesione del tessuto; ci sono casi in cui la prima cosa da fare è “non fare”, inviare il paziente dal medico specialista per le valutazioni del caso (il neurologo e il servizio di medicina del dolore) e per indagare gli aspetti funzionali del nervo (tramite esami diagnostici specifici quali una TAC, una risonanza magnetica, l’eletromiografia) senza escludere la necessità di una consulenza neurochirurgica.

Essere fisioterapisti esperti di disfunzioni del sistema nervoso, ci permette di poter riconoscere quando questo tessuto è coinvolto e in che modo lo sia, rendendoci consapevoli degli eventuali strumenti di cura, soprattutto nei casi in cui la cura farmacologica non abbia risolto del tutto la problematica, ancora una volta nel rispetto delle linee guida attuali dove il paziente è al centro di un team sanitario multidisciplinare.